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Cristina Fabbrini Serravalle

Dovresti provare…" 

Daniele e i suoi libri. Daniele e le sue fantasie. Daniele e le sue costanti fughe dalla realtà. Se aveva un dono, uno vero, era quello di saper raccontare delle storie. Vere o inventate che fossero, non aveva importanza. Poteva essere il resoconto di quello che aveva mangiato a cena la sera prima, oppure il riassunto di Cime Tempestose, c’era qualcosa nel suo modo di raccontare, che ti inchiodava lì, ad ascoltarlo. 
Ironicamente era così che ci eravamo lasciati. Mi aveva inchiodata con uno dei suoi racconti, uno che per la prima volta non mi era piaciuto. 
Non avevo apprezzato i tratti appena accennati dei protagonisti, nei quali avevo riconosciuto lui e una donna enigmatica e controversa che certamente non potevo essere io.
A letto. 
Insieme. 
Naturalmente ne avevo sofferto come un cane. Ero stata giorni e notti ad attendere una sua telefonata, una sua improbabile riapparizione che non era mai arrivata. Gli avevo gridato di tutto, al telefono, gli avevo scaraventato addosso anni di frustrazioni, di inutili attese, di decisioni evitate, di mezze frasi accennate e altre metà non dette. 
Non era durata molto, tra di noi, ma era stato un periodo intenso, talmente denso di emozioni da essere praticamente impossibile da dimenticare. No, non era che il solo rivederlo stesse riaprendo quell’antica ferita. Ma faceva riaffiorare quei ricordi, quei momenti, quelle sensazioni che in qualche modo ero riuscita ad ammansire con il passare degli anni. E ora la sua vicinanza cominciava a farmi mancare l’aria. 

Fuori il diluvio era finalmente cessato. Mi sarei infilata di corsa nella metropolitana e una volta a casa mi sarei scrollata di dosso, oltre alla pioggia, anche le emozioni di quell’incontro inatteso. 
"Devo andare… è stato bello rivederti" gli dissi. 
"Aspetta! Te ne vai così? Non ci scambiamo nemmeno i numeri di telefono? Potremmo rivederci, chessò, per un caffè, una pizza…" 
"…una scopata senza impegno…" 
Daniele si mise a ridere in quel suo modo contagioso. "Non ci credo, sei ancora arrabbiata!" 
"Tu credi? No, non è così. Sono solo cresciuta. E ho imparato a difendermi. Tu invece sei rimasto lo stesso di sempre. Un affascinante, randagio affabulatore…" Gli sorrisi. Sfogliai velocemente il libro che tenevo in mano, cercai la pagina. La trovai, e ne sottolineai alcune frasi. Poi scrissi sul margine il mio numero di telefono. Richiusi il libro e glielo diedi. 
"E’ un regalo, trattalo bene" Daniele guardò il libro e mi fissò, interrogativo "Mr Gwyn…" 
"Dovresti leggerlo ai tuoi studenti. E’ illuminante". Lo lasciai mentre leggeva muovendo appena le labbra: “Una luce è giusto uno spicchio di una storia. Se c'è una luce che è come lei, ci sarà anche un rumore, un angolo di strada, un uomo che cammina, molti uomini, o una donna sola, cose del genere. Non si fermi alla luce, pensi a tutto il resto, pensi a una storia. Jasper Gwyn diceva che tutti siamo qualche pagina di un libro, ma di un libro che nessuno ha mai scritto e che invano cerchiamo negli scaffali della nostra mente." 
Uscii. 
Ancora una volta senza il mio libro. 
Un pallido raggio di sole aveva bucato le nubi.

Odio gli ombrelli.
Di solito, quando piove, indosso un vecchio cappello da pioggia. E quello, per me, è il massimo del riparo contro la furia del cielo. Ogni tanto compro anche qualche ombrello. Di quelli piccoli, in prevalenza. Lo faccio più per senso del dovere che per reale convinzione che mi servirà. Diligentemente, comunque, lo utilizzerò un paio di volte, per poi scordarlo da qualche parte, e ricominciare così la mia love story con il cappello. 
Cristina Fabbrini Serravalle a Camden

Quel giorno pioveva. 
Per la precisione un nubifragio di dimensioni epocali si era abbattuto sulla città, mandando in tilt le comunicazioni, i servizi di trasporto e in generale tenendo in ostaggio la gente barricata negli uffici e nei negozi. Avevo trovato riparo in una libreria del centro, sotto i portici. Mi aggiravo insofferente tra gli scaffali ricolmi di libri, con l’aria di chi non riesce a trovare l’autore che cerca. In realtà, mi vergognavo per la scia bagnata che scivolava dal mio impermeabile fradicio, lasciando piccole pozze irregolari sul parquet. Cercavo di mascherare l’imbarazzo con una falsa indifferenza. La commessa alzava di quando in quando lo sguardo da sopra gli occhiali e mi osservava in silenzio con leggero disappunto. 
Agguantai una copia di Mr. Gwyn, un libro che amavo, che avevo letto e riletto e che per qualche motivo era scomparso dalla mia biblioteca. Poi mi lasciai rapire dai titoli, dai nomi degli autori, dai colori e dalle fotografie delle copertine. 
"Non sei cambiata per niente. Guardati! Sei fradicia!!! Sempre in giro senza ombrello?" 
La sua risata divertita mi fece trasalire. Alzai gli occhi e me lo trovai davanti. 
Nemmeno lui era cambiato in quei… quanti erano? Vent’anni? Probabile. Daniele era rimasto lo stesso: alto, bello, dannato. Forse un po’ più scavato nelle guance. 
Mi prese le mani e mi baciò i palmi come se fosse la cosa più naturale del mondo. Io restai semplicemente a fissarlo, incapace di articolare un suono qualunque. Fu lui a parlare di nuovo. 
"Allora? Come vanno le cose al giornale?" 
"Non lo so, non ci lavoro più da una decina d’anni" 
"Peccato, eri una grande giornalista" 
"E tu che fai? Sempre tra i banchi di scuola?"

"…in un certo senso sì. Faccio un lavoro un po’ particolare, mi occupo di promuovere la lettura tra i giovani. Creo delle sessioni pomeridiane nelle quali leggiamo, commentiamo e a volte mettiamo in scena alcuni brani o interi libri… è divertente.

Un giorno
per Caso

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